Dante a Verona: la Biblioteca Capitolare

Il quarto ed ultimo nucleo della mostra “Dante a Verona visto da Giancarlo Zucconelli – acquerelli nel racconto di Andrea Mirenda” ci riporta all’interno della Biblioteca Capitolare, per scoprire come essa fu fonte di ispirazione per il grande poeta, e come sia rimasta segnata dal suo passaggio. Possiamo facilmente immaginarlo all’interno di questi ambienti, alla ricerca di autorevoli fonti antiche. All’epoca, qui erano conservati importanti opere classiche di Tito Livio, Frontino, Plinio e Orosio. Dante vi fa riferimento nel suo trattato De Vulgari Eloquentia, e le consultò probabilmente durante i suoi soggiorni veronesi.

Ancor oggi, il patrimonio della Biblioteca Capitolare custodisce numerose opere di Dante, accumulate nei secoli successivi: dai preziosi incunaboli della Commedia, fino ai manoscritti dell’Epistola a Cangrande e della Vita Nuova. Quest’ultima è un’opera che alterna prosa e poesia, raccogliendo i sonetti scritti dal giovane Dante secondo i canoni del Dolce Stil Novo. Tra le sue pagine ripercorriamo tutta la vicenda umana e spirituale del poeta e del suo amore per Beatrice, dal primo incontro da bambini fino alla visione dell’amata prematuramente scomparsa.

L’ultima traccia di Dante a Verona è collocata proprio negli ambienti accanto alla biblioteca. Nella vicina chiesa canonicale di S. Elena, infatti, Dante declamò di fronte al clero veronese la sua Questio de aqua et terra. Si tratta di un trattato scientifico sul rapporto tra acque e terre emerse. Era una domenica, il 20 gennaio 1320; Dante morirà di malaria meno di un anno dopo, di ritorno da Venezia dopo una missione diplomatica. Ma il suo genio, che abbiamo voluto celebrare a 700 anni di distanza, rimarrà per sempre immortale.

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