Le origini
La Biblioteca Capitolare è la Biblioteca più antica al mondo di area culturale latina ad essere ancor oggi in attività.
Nasce come emanazione dello «Scriptorium», una sorta di officina libraria dove venivano prodotti libri su pergamena per l’istruzione e la formazione disciplinare e religiosa dei futuri sacerdoti. Gli amanuensi, incaricati della copiatura dei testi, erano sacerdoti della Schola majoris Ecclesiae, cioè i Canonici del Capitolo (da cui l’aggettivo «capitolare») della Cattedrale. Durante i secoli di transizione tra Tarda Antichità ed Alto Medioevo, caratterizzati da profonde crisi, furono infatti prevalentemente gli uomini di Chiesa a ricevere un’istruzione, nonché ad avere la possibilità di acquisire e tramandare l’antica cultura classica nonostante la decadenza politica, sociale, demografica ed economica.

Uno di costoro, Ursicino, ci lascia la prima testimonianza dell’esistenza dello Scriptorium. Dopo aver terminato di scrivere la vita di san Martino, composta da Sulpicio Severo, e la vita dell’eremita tebaico san Paolo, compilata da san Girolamo, alla conclusione del codice XXXVIII aggiunge alcuni dati decisamente inusuali per l’epoca: il proprio nome, il luogo («Verona») e la data: le calende di agosto dell’anno di consolato di Agapito. La datazione è dunque facilmente identificabile al 1 agosto del 517, quando Teodorico, re degli Ostrogoti, dominava a Verona.
La notizia, anche se scarna nella forma, è di estrema importanza: essa infatti ci presenta, all’inizio del secolo VI, una prima forma di attività culturale organizzata per la copiatura dei testi. È dunque verosimile che l’impianto originario dello Scriptorium risalga almeno al secolo precedente, o forse sia collegato all’istituzione della prima Basilica nel IV secolo
Tra gli altri tesori presenti in Capitolare vi sono anche codici più antichi rispetto ad Ursicino come ad esempio del cod. XXVIII : il più antico codice conosciuto a riportare parte del «De Civitate Dei» di S. Agostino (risalente all’inizio del secolo V, e dunque coevo all’autore).
Quando nacque la lingua italiana…
Quando nacque la lingua italiana? Tutti sanno che è nata dal latino parlato, il quale attraverso cambiamenti, storpiature ed anche influssi di altri dialetti, ha dato origine al nostro linguaggio. La più antica testimonianza scritta ad oggi conosciuta di questa lunga evoluzione linguistica è contenuta nel cosiddetto “Indovinello veronese“, scritto sul margine superiore del folio 3r del codice LXXXIX: un libro di preghiere liturgiche usato in Spagna e scritto in caratteri visigotici.
Dalla penisola iberica dopo diverse traversie, il codice approdò a Verona. Qui uno scrivano, forse per provare la punta della sua penna, scrisse:

«Separeba boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba et negro semen seminaba»
Ossia: “Teneva davanti a sé i buoi (le due dita della mano), arava i bianchi prati (le pagine del libro), teneva un bianco aratro (la penna d’oca) e seminava il seme nero (cioè l’inchiostro).” È facile indovinare che si tratta dello scrivano all’inizio del suo lavoro.
L’Alto Medioevo
L’epoca d’oro dell’attività dello Scriptorium si colloca nel secolo IX, periodo della rinascita carolingia. Questa fase è degnamente rappresentata dalll’Arcidiacono Pacifico, figura poliedrica tra mito e realtà. Versatile in tutti i campi del sapere umano, Pacifico diede impulso allo Scriptorium contribuendo alla composizione di ben duecentodiciotto volumi; cifra veramente ragguardevole per quei tempi, quando era sufficiente una settantina di volumi per formare una ricca biblioteca.

Anche durante il secolo X lo Scriptorium veronese svolgeva con impegno il suo lavoro. Ne è testimone il vescovo Raterio, che nonostante numerose difficoltà incontrate nell’ambiente veronese, beneficò la Schola e non esitò a considerare Verona come l’Atene d’Italia. Fu lui a commissionare la prima rappresentazione grafica della città di Verona, la cosiddetta «Iconografia Rateriana». Perduto l’originale, oggi possiamo ancora ammirarla nella copia settecentesca della Biblioteca Capitolare donata da Scipione Maffei.
Dopo il Mille l’attività calligrafica locale trova uno dei sui massimi esempi nell’opera di Stefano «cantor», cioè Maestro della Cappella del Duomo, il quale ci ha lasciato un libro autografo, il codice XCIV detto «Carpsum»: un’antologia liturgico-musicale preziosa per la conoscenza delle usanze religiose della nostra città.
Dal 1200 al 1700
Verso l’inizio del 1200, forse con il progressivo calare della necessità di produrre nuovi libri, lo Scriptorium assume la fisionomia di vera e propria biblioteca: un ambiente di studio, consultazione e conservazione che verrà frequentato da illustri studiosi e letterati.
Nel 1320 Dante Alighieri tenne una dissertazione, la Quaestio de aqua et terra, nella chiesetta canonicale di S. Elena, appartenente allo stesso Capitolo dei Canonici cui faceva capo la Biblioteca. Tale evento è ricordato da un’iscrizione sulla parete esterna della chiesa stessa.
Nel 1345 un altro grande letterato, Francesco Petrarca, venne invitato da un suo amico veronese, Guglielmo da Pastrengo, a consultare i libri della Capitolare. La visita di Petrarca è documentata all’interno delle sue lettere, nonché in un’iscrizione posta su un palazzo in via Augusto Verità. Petrarca trovò tra gli scaffali della biblioteca un codice fino ad allora sconosciuto ed ora non più reperibile: le lettere di Cicerone ad Attico, Quinto e a Bruto.

Con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, verso il 1450, entrano nella Capitolare i primi libri a stampa (gli incunaboli, cioè i volumi stampati dal 1450 al 1500). Il canonico bibliotecario mons. G. Paolo Dionisi, laureato in diritto canonico e civile, nel 1501 donò alla Capitolare un consistente numero di manoscritti e incunaboli, prevalentemente di ordine giuridico, incrementando così il suo già notevole patrimonio librario.
La sede della Biblioteca, in quegli anni, si trovava in un locale al pianterreno del lato orientale del chiostro capitolare. Nel 1625 si pensò di usare questi locali per la nuova aula delle riunioni dei Canonici e si prospettò di sistemare il materiale librario in un ambiente nuovo, da edificare sopra la sacrestia canonicale. In attesa della nuova costruzione, anche per paura delle possibili incursioni da parte delle truppe mercenarie che circolavano in zona, il bibliotecario Agostino Rezzani nascose codici e libri a stampa dentro le cimase degli armadi della stanza vicina e redasse un catalogo dei manoscritti. Poco tempo dopo, tuttavia, egli rimase vittima della peste del 1630, che aveva ucciso due terzi dei veronesi. Egli portò con sé nella tomba il segreto del nascondiglio dei libri. Solo nel 1712 la meticolosa ricerca di Scipione Maffei e del canonico Carlo Carinelli riportò alla luce quei cimeli. La notizia del ritrovamento suscitò sorpresa ed entusiasmo nel mondo dei letterati, che bussavano con frequenza alla porta della Capitolare per le consultazioni. Per questo nel 1725 il Capitolo decise di costruire sul lato occidentale del chiostro la nuova sede della Biblioteca Capitolare, che poi nel 1781 fu ampliata con la munificenza del vescovo Giovanni Morosini, il quale sostenne metà della spesa necessaria.
Intanto il patrimonio librario aumentava sempre più per le numerose donazioni da parte di famiglie veronesi e di celebri personalità, come Dionisi, Bianchini, Muselli, Maffei. Tra i libri donati vi sono splendidi esempi di miniatura, l’arte di decorare le pagine con vibranti colori minerali ed i riflessi della foglia d’oro.
Una così grande ricchezza entrò nelle mire di Napoleone Bonaparte, il quale inviò una commissione a selezionare 31 codici e 20 incunaboli tra i più rari e pregiati della collezione della Capitolare per rifornire la Biblioteca Nazionale di Parigi. Solo due terzi ritornarono, nel 1816, dopo la caduta dell’imperatore.
Dal 1800 ad oggi
Durante il XIX secolo si svolse alla Capitolare una intensa attività filologica, soprattutto da parte di studiosi tedeschi, i quali grazie all’utilizzo di particolari reagenti chimici riportarono alla luce la scrittura sommersa dei palinsesti: libri pergamenacei scritti quasi tutti durante il secolo V, poi raschiati nel secolo VIII per recuperare la pergamena, e successivamente utilizzati per scrivere un altro testo.

Tra questi, vennero ritrovati testi preziosissimi, come il codice palinsesto XV contenente le «Istituzioni di Gaio»: l’unico testo superstite al mondo della giurisprudenza romana classica, privo di manipolazioni di epoca bizantina avvenute durante la riforma di Giustiniano.
La Biblioteca attraversò anche momenti drammatici, che ne misero a repentaglio il patrimonio e la stessa esistenza: per esempio, l’inondazione dell’Adige, nel 1882, che inondò il pianterreno imbrattando di fango le undicimila pergamene dell’Archivio Capitolare. Anni dopo, a partire dal 1922, l’allora bibliotecario mons. Giuseppe Turrini lavorò per diversi anni per ripulire e catalogare accuratamente le pergamene infangate dall’alluvione.

Il 4 gennaio 1945, durante l’ultimo periodo della guerra, le bombe sconquassarono l’aula maggiore, radendola al suolo. Fortunatamente i danni al patrimonio librario furono limitati, grazie ancora una volta a mons. Giuseppe Turrini, Egli infatti aveva provveduto a mettere in salvo dalle incursioni aeree i manoscritti e gli incunaboli, trasferendoli in gran parte sulle montagne della Lessinia, nella canonica del paese di Erbezzo. Un’ulteriore parte dei volumi più preziosi erano invece stati nascosti in una stanza segreta all’interno del Duomo. Gli altri libri, sepolti dalle macerie, furono poi in parte recuperati: alcuni di essi, ricollocati sugli scaffali del salone dopo la ricostruzione di quest’ultimo, mostrano ancora oggi i danni riportati nell’esplosione.
Nell’immediato dopoguerra la Biblioteca fu ricostruita e ampliata per consentire la sistemazione di altre donazioni di libri: la biblioteca di mons. Giuseppe Zamboni (con i manoscritti e la corrispondenza del filosofo veronese), del conte Francesco Pellegrini (interessante per la storia della medicina), del prof. Luigi Simeoni (per la storia medioevale) e di casa Giuliari (con gli esemplari della famosa stamperia). Il nuovo salone, in parte ricostruito sulla base dei progetti settecenteschi della sala distrutta dalla bomba, fu completato nel 1948.
Recentemente, il 16 aprile 1988, papa Giovanni Paolo II, nella sala grande della Capitolare, ricevette l’omaggio di tutti i rappresentanti delle istituzioni culturali di Verona e rivolse loro un importante discorso.